di Eleonora Cozzari
foto Fiorenzo Galbiati

«In Serbia c’è questa tradizione: quando si vince una medaglia importante, i giocatori salgono nel palazzo del governo e si affacciano dal balcone. Era il 2002, io avevo dieci anni e mia madre mi portò in piazza a celebrare la vittoria del Mondiale di pallacanestro che i ragazzi avevano conquistato a Minneapolis. È stato così emozionante che da quel momento, non mi importava come, salire su quel balcone è diventato il mio sogno».

2016: argento ai Giochi olimpici di Rio.
2017: oro agli Europei.
2018: oro ai Mondiali.

Benvenuti nella storia di Jovana Stevanovic, centrale della Serbia campione di tutto. «Potevo essere una grande banda. Non ho un bagher da centrale (omette l’aggettivo perché sa che sarebbe superfluo, ndr) e in allenamento mi diverto a schiacciare in diagonale stretta da posto quattro. E poi uscire dal campo lo detesto. Io ci sguazzo nella pressione. Comunque va bene anche giocare al centro». Ride, dà un colpetto di tosse per riprendersi e torna seria. «Oggi il centrale è molto più importante. Oggi, più forte è il centrale e più la squadra gioca meglio». Volevamo entrare nella tana del lupo per capire qual era il suo segreto. Lei ce lo dice sulla porta, prima ancora di farci accomodare. Perché il lupo non ha segreti. Il lupo ha solo, sempre, più fame di te. «Mio padre è un ex calciatore,

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